Nel riassorbimento delle cervella, così come in quello universale, l’alleggerimento della sciagura cosmica che ci prese. Nell’elementarizzazione dell’universo, una via di scampo; nell’elemento, ierofanie. In summa die. Sana obbedienza all’antico istinto mortifero: il vivere. Il contenuto esiziale della perpetuazione biologica, peraltro, trova il suo manifestarsi non nel morire, bensì nello svilimento che di nulla è proprio, se non dello stesso vivere. Gioie dell’elettroshock. L’idea di infinito, al di là di ogni positivismo e di ogni inclinazione al calcolo, andava rinserrata nelle occulte anse della gnosis, come nessuno fece. I placidi atti di riduzione, sconosciuti proprio da chi avrebbe dovuto avvalersene, furono dunque l’unico ferale arnese nelle mani del filosofo; questi, però, lo adoperò per ridurre se stesso. Peculium castrense. « Emancipàti dalle leggi del divenire! ». . . Qualche conclusione fu certamente tratta. Mentre fuori accadeva di tutto, il concetto seguì un’unica traiettoria: un punto. Lì, zagare e rose spandono gli stessi profumi: quelli del trapasso. « Τί γὰρ ἂν καὶ ὕστερον αὐτῷ γένοιτο, ὃ μὴ νῦν ἐστι· ». No, l’eterno ha in sé qualcosa di ignobile. Non fa per noi; è una questione di igiene. Degli idealismi hegeliani (nonché delle contraffazioni empiristiche), residuano impulsi vendicativi ad carnem. Ci affidammo alle Mèditations cartèsiennes, ricercando più sudici piaceri: concetti in vitro. Metodi, dimostrazioni, trattati come liquidi organici nel Medioevo: sangue e sperma. La regola dell’enumerazione, la quale fu in Descartes principio e in noi necessità, non poté essere schivata come, a suo tempo, dallo stesso Descartes. Il filosofo, beninteso, è colui che esegue per conto di nessuno.